Le ultime due settimane sono state un ritorno alle radici, a luoghi fisici e del cuore dove non ha davvero senso cercare risposte che forse potrebbero non servire mai, dove la bellezza si imprime da sola, senza concedere ai nostri pensieri tempo di affiorare.
Che a volte – sempre più spesso in realtà – sono proprio le domande a contare e scandire il ritmo del mio incedere, mosso essenzialmente (quotidianamente) dal desiderio.
Di rientro alla normalità, in una città vestita a strati e a cipolla, tra mode che si sovrappongono e rubano terreno al valore di verità proprio sotto agli occhi ancora imbevuti di tramonto (e, adesso, anche sotto ai piedi, dolenti dopo ore trascorse fuori a sbrigare le prime, urgenti commissioni, nda.), esiste e ne sono convinta la possibilità di essere veri, autentici, imperfetti e in questa imperfezione custodire salda la certezza che nelle domande si gioca ogni promessa ‘promettibile’ di eternità.
Nel qui e ora e nel spero-a-domani.
Finché avrò voglia, stupore e, appunto, desiderio di compiere un passo oltre e imparare, così procederò, magari cadendo, sperimentando sulla pelle quell’apprendimento per errori che si addice alla complessità che osservo crescere fuori e dentro di me ed è catalizzatrice naturale di esperienze formato meraviglia.
E tornerò a tentare…
A pungermi con le spine pur di rientrare a casa la sera e appoggiare sul tavolo le rose.